E’ giusto invidiare chi ha più successo di te?
Lunedì ho avuto la fortuna di potermene stare tutto il giorno con i miei bimbi: uno dei due aveva la febbre, per cui io e mia moglie abbiamo deciso di far fare un giorno di vacanza ad entrambi. Quindi, loro…

Lunedì ho avuto la fortuna di potermene stare tutto il giorno con i miei bimbi: uno dei due aveva la febbre, per cui io e mia moglie abbiamo deciso di far fare un giorno di vacanza ad entrambi. Quindi, loro a casa dall’asilo, io a casa dal lavoro. La giornata tra l’altro si prestava parecchio: pioggia, clima uggioso, atmosfera buia ed ombrosa, stare in casa al calduccio è davvero il massimo. Va bene, ho pensato, farò questo sacrificio. Dopo pranzo mi si è accesa la flebile speranza: se riesco a farli dormire entrambi potrei dedicare qualche ora al lavoro. Tentiamo con una favola.
Dalla loro libreria estraggo un bel volumone di Fiabe per Bambini, davvero un libro fantastico, zeppo di storie che nemmeno noi genitori conoscevamo in precedenza. Apro a caso e mi imbatto in una novella di Esopo, successivamente ripresa da Fedro, intitolata “La cornacchia vanitosa“.
E’ la storia di un Corvus cornix, volgarmente denominato cornacchia grigia per via del colore del piumaggio. Trattasi di uccello estremamente intelligente, che ha saputo adattarsi in modo estremamente efficace all’urbanizzazione creata dall’uomo. La curiosità della cornacchia doveva essere già nota ai tempi in cui Esopo narra questa vicenda (siamo nel 600 a.C.).
Divano, copertina, tutti pronti. Inizio a leggere.
C’era una volta una cornacchia, che passava intere giornate annoiandosi e sorvolando l’aia in cui viveva insieme alle compagne. Un bel giorno decise di allontanarsi. Durante il volo di ricognizione vide dall’alto due pavoni. Una volta atterrata si presentò e chiese loro che tipo di animali fossero:
“Siamo pavoni”, risposero, aprendo la coda e iniziando a paupulare (ovvero emettendo il caratteristico verso). La cornacchia rimase di stucco, salutò e volò via. Durante i giorni successivi non potè fare a meno di pensare ossessivamente a quanto sarebbe stato bello essere un pavone e non una cornacchia. Per placare questo doloroso rimuginio interiore iniziò a guardare di nascosto i due pavoni: come si comportavano? cosa facevano? come si muovevamo? Poi un giorno vide che i pavoni avevano perso alcune penne: la cornacchia le raccolse e se le attaccò sulla coda usando la resina del pino. Pavoneggiandosi orgogliosamente con le compagne iniziò a deriderle: “Guardate come siete brutte e grigie, non siete nobili come me!”.
Si recò quindi dai pavoni chiedendo loro di far parte del gruppo. Questi all’inizio la scambiarono per un pavone malconcio, a cui mancavano quasi tutte le penne colorate, e la accolsero impietositi. Ma ecco, a questo punto, il passo falso della cornacchia. Sentendosi ormai parte dell’élite, provò a fare il loro verso, ma dal becco uscì solo uno sgraziato “crà-crà-crà”. I pavoni allora scacciarono la cornacchia in malo modo, la quale, malconcia per via delle beccate ricevute, andò a chiedere asilo alle vecchie compagne, ricevendo ovviamente un bel due di picche: doppio cartellino giallo, espulsione.
Accontentarsi o no?
Giunto al termine di questa favola non puoi fare a meno di pensare alla morale: chi si accontenta gode, mentre chi si consuma invidiando le situazioni degli altri finisce per schiantarsi come ha fatto la cornacchia, allontanata da tutti. Gli Antichi, come sempre, sono pozzi colmi di verità di indubbia ricaduta sociale.
Ma pensando al business a me sorge il dubbio: bisogna davvero accontentarsi? E’ sbagliato invidiare chi ha più successo di noi?
La risposta, come sempre, risiede nel significato dei termini. Prendiamo il vocabolario.
Cerchiamo l’invidia. Trovata.
Invidia cattiva.
Cicerone definisce l’invidia come un atto che produce disgrazia nell’altro a seguito del malocchio che gli abbiamo lanciato. Deriva dal latino in- videre dove in è l’avversativo e videre è legato al guardare, a significare quindi “guardare contro” oppure “guardare male”, da cui il termine malocchio. Fa riferimento, oggi. all’astio che provi verso la felicità che manifesta quella tal persona.
E’ sbagliato invidiare chi ha più successo di noi?
La Teologia Cattolica considera l’invidia come uno dei sette peccati capitali, consistente nel provare dolore per il bene altrui. E’ un sentimento che ti scatena dentro quella che io chiamo “rabbia per differenza”: il piacere dell’altro lo vivi come una sottrazione alla tua capacità di provare piacere, appunto per differenza. E’ come se tu e la persona che invidi aveste un unico conto del piacere, una sorta di cointestato, ma con due bancomat: lui preleva un po’ di piacere dal conto e quindi lo toglie anche a te. Roba da andare fuori di testa: le carotidi si gonfiano, hai il sangue alla testa, dov’è la mazza da baseball?
Secondo Bertrand Russell l’invidia è la causa principale dell’infelicità.
Invidia buona.
Incredibile ma vero, esiste anche una forma positiva di invidia. Secondo una ricerca pubblicata nel 2009 sulla rivista Emotion, quando un individuo sperimenta questa tipologia di invidia cresce contemporaneamente anche la motivazione e la voglia di migliorare la propria situazione. In italiano potremmo pensare al termine ammirazione o anche venerazione per identificare questa forma di invidia positiva: venerare o ammirare una certa persona può stimolare la mia motivazione, nel tentativo di raggiungere la stessa felicità. Io spesso chiamo l’invidia buona gelosia.
Buona o cattiva?
Proviamo a fare un esempio, giusto per fissare bene in mente le differenze. La tua collega ha ricevuto una promozione per quel famoso progetto andato in porto: aumento di stipendio e altri benefits. Stamane si è presentata con un nuovo Tailleur e quel Décolleté tacco medio in pelle con borchie di Gucci (che tu avevi già trovato in rete a meno di 1000 euro, praticamente un affarone). Ecco le due possibili reazioni:
a) Nooo…si è comprata la scarpa di Gucci che volevo io…Devo darmi una svegliata: se fossi stata determinata come lo è lei a quest’ora anche io potrei godere della promozione, Mannaggia, anche io voglio quelle stramaledette scarpe…
b) Nooo…si è comprata la scarpa di Gucci che volevo io, quella stronza. Comunque cammini come una papera zoppa, tesoro. E con quel vestito attillato sembri proprio un cinghiale. Io invece mi faccio il mazzo tutti i giorni e…soddisfazioni zero!
Immagino avrai capito che nel primo caso avresti reagito manifestando invidia buona (o gelosia): tu hai quella cosa che ti dà piacere, la voglio anche io, quindi mi devo dare una mossa se voglio essere felice come te. Nel secondo caso siamo indubbiamente entro l’area dell’invidia cattiva: tu hai quella cosa che ti dà piacere, la voglio io e vorrei tu non ce l’avessi (stronza).
E’ facile a questo punto notare due cose. In primo luogo che l’invidia negativa la si riconosce applicando il principio della sottrazione: io e te abbiamo lo stesso conto in banca, tu prelevi togliendo parte del mio capitale e questo mi fa sbiellare. (Ma dove ho messo la mazza da baseball?)
La seconda cosa: in entrambi i casi a) e b) ti senti infelice, ma in modo diverso. L’infelicità che provi in a) non si trasforma in astio, ma diventa benzina per accendere il motore della tua motivazione, come abbiamo visto in questo post.
Quindi, siamo partiti dalla domanda: bisogna davvero accontentarsi? E’ sbagliato invidiare chi ha più successo di noi?
Sai rispondere ora, vero?
Fine della storia.
“Papi”.
“Mmmh”.
“Papi”.
“Mmmh…uhff”.
“Papiiii”.
“Dimmi…”.
“Ti sei addormentato”.
(porca miseriaccia).